Gabriele Basilico ( 1944 - 2013) è stato un fotografo milanese, riconosciuto internazionalmente come uno dei maggiori fotografi di paesaggi urbani.  Dopo la laurea in architettura, si dedica con continuità alla fotografia fortemente influenzato dal suo percorso di studi. La forma e l’identità delle città, lo sviluppo delle metropoli, i mutamenti in atto nel paesaggio postindustriale sono da sempre i suoi ambiti di ricerca privilegiati.

Lettera a una città (Milano) 
Sono nato in questa città. Amo questa città come si può amare qualcuno a cui ci lega un vecchio rapporto di familiarità ed amicizia. È La città nella quale sono cresciuto. Ha dato forma anche alle mie passioni, alle mie speranze, alle mie angosce. Ammiro le parti belle e le parti misere del suo corpo, dai quartieri, alle case, ai muri, ai selciati.

 

Ha una sua bellezza e una sua bruttezza, esterne, visibili, che sono l'incarnazione della sua storia, che si esprimono nei suoi caratteri fisici e che acquistano mag­gior senso nel confronto con altre città. Questa città è simile ad un essere vivente, è un organismo che respira e si dilata sopra di noi come un mantello protettivo che ci avvolge e ci confonde nello stesso tempo. Negli anni è diventata per me come un porto di mare, un luogo privato dal quale partire per altri mari, per altre città, e poi ritornare e quindi ripartire. Un porto cioè un luogo stabilizzato dove accumulare campioni prelevati, reperti e impressioni dei luoghi lontani. Immagini che si depositano nella memoria, come una sostanza che la città sa far propria e trattenere, ma che sa restituire metabolizzata in altre immagini, ricomponendo presente e passato, vicino e lontano, a piacimento, secondo le pulsazioni del cuore. Piccoli reperti di archeologia contemporanea. Questa città mi appartiene e le appartengo, quasi fossi un frammento fluttuante nel suo immenso corpo. Mi ossessiona un bisogno costante di conoscenza della sua fisicità, una necessità di rileggere di nuovo i tratti, le parti nascoste ma anche i luoghi noti e le sembianze più conosciute.

Tra di noi c'è un varco aperto, che permette uno scambio continuo di percezioni, un punto di vista speciale. Talvolta ho l'impressione che si manifesti più nitidamente e all'improvviso d'innanzi agli occhi, che mi informi del suo ingombro, della sua consistenza e della sua materia. La città mi investe e mi abita.

Gabriele Basilico
G. Basilico, lnterrupted City, Actar, Barcelona, 1999.

Una Città sul lettino

Il regista francese Jacques Tati era solito dire: “Quando sei l'autore di un film, quando lo scrivi e lo giri, devi amarlo moltissimo". È un tipo di amore che costringe l'autore a guardare negli occhi il suo soggetto per capire quanto di questo amore verrà contraccambiato.

Gabriele Basilico ama i suoi soggetti; in modo particolare ama Milano ed in un modo morboso e malinconico ama Milano di notte. La città è il protagonista dell'infinito romanzo fotografico senza titolo che si svolge in una regione meta-urbana dove gli edifici divorano le persone al tramonto per riflettere poi sulla ne­cessità della loro presenza all'interno della struttura della città.

Milano come città, forse più di qualsiasi altra in Europa, rappresenta lo stato di transizione tra il nord e il sud del vecchio continente. I suoi edifici e le sue stra­de si tuffano in un futuro mai avverato, un'utopia posticipata. Basilico si reca notte dopo notte, come un amante rifiutato, sotto questi edifici per guardarli, cercando una risposta alla sua e alla loro presenza nello stesso posto chiamato Milano, una città che nel corso degli anni è diventata più un concetto che un posto in cui vivere e costruire nuove strutture. Concettualmente Milano rappresenta la promessa che l'Italia non ha mai mantenuto. Praticamente, Milano è una metropoli che non ha mai dissimulato molto bene la sua brama per quella piccola città industriosa che le sarebbe piaciuto essere. Le foto di Basilico sono tra l'architettura e l'antropologia. La città viene analizzata come un modello, o come un paziente i cui sintomi potrebbero portare ad una migliore comprensione delle sue abitudini e della sua vita. La notte è come uno stomaco vuoto che permette di guardare più chiaramente alle proprie budella. Basilico aspetta la notte come un modo di osservare in tutta la serenità della città, le sue debolezze e suoi veri sentimenti. Milano giace sul lettino di Basilico nel tentativo di capire sé stessa in una specie di terapia fotografica. Infine, l'ultimo desiderio del fotografo - come un urbanista strizzacervelli - è vedere il suo paziente abbandonato, trasformato in un fantasma, in una tautologia della sua stessa funzione. Di notte la città soffre di insonnia estetica mentre Basilico ne approfitta per trarne ritratti. Ogni ritratto di Milano ha lo stesso stato d'animo, ma sempre un pensiero diverso. Milano condivide con il suo terapista ed autore la stessa timida idea del loro destino comune di essere parte dello stesso tempo transitorio. Gli edifici nella notte si innalzano come stalagmiti nella grotta dell'industrializzazione, definendo la loro era ed il toro tempo. Basilico finisce per diventare egli stesso uno di questi edifici, un punto di riferimento nello sclerotico orizzonte milanese. La sua visione è una dalle tante finestre che incombono su strade deserte. La notte poi è la macchina fotografica, il narratore di una storia come tante altre, di un luogo come tanti altri che di notte capita anche di essere chiamato Milano.

Francesco Bonami 
Direttore Artistico della Fondazione Sandretto Re Baudengo, Torino - Italia