Axel Hütte
Axel Hütte (Essen, 1951, vive e lavora a Düsseldorf) è uno dei più importanti e apprezzati fotografi tedeschi contemporanei, protagonista con altri artisti della cosiddetta “Düsseldorfer Photoschule” (altrimenti nota come “Becher Klasse”, come lo stesso Hütte ricorda nella conversazione qui riportata) che si affermò in ambito internazionale a partire dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso. Al pari di Candida Höfer, Thomas Struth, Thomas Ruff e Andreas Gursky, gli altri membri dell’originario gruppo di studenti di Bernd Becher all’Accademia di Düsseldorf, Hütte ha esposto presso istituzioni pubbliche e private di tutto il mondo, e le sue opere sono presenti in prestigiose collezioni di musei e fondazioni.
Accomunati dalla predilezione per il grande formato, peculiarità che allora contraddistinse e lanciò la fotografia tedesca contemporanea sul palcoscenico mondiale, ognuno di loro ha sviluppato negli anni una ricerca personale che, pur avendo come caratteristica fondante un approccio di stampo tipologico alla realtà (impronta di continuità insita nella tradizione tedesca dai tempi di August Sander e Heinrich Zille), ha saputo investigare il mondo attraverso il linguaggio fotografico in più direzioni. Thomas Ruff e Axel Hütte (vicini di casa nella Hansaallee a Düsseldorf) hanno più di altri sperimentato tecnicamente il mezzo fotografico con l’adozione del
digitale il primo e aggiornando vecchi procedimenti di stampa il secondo, scomponendo e enfatizzando i pixel dell’immagine e inventando una nuova forma di dagherrotipo contemporaneo, perseguendo dunque due strade temporalmente all’opposto: proiettato nel futuro Ruff, rivolto al passato remoto Hütte.
Pur partendo dall’indagine dell’architettura urbana - Berlino e le stazioni metropolitane nella raccolta “Berlin 1980-1987”- e mantenendo sempre, negli anni successivi, uno sguardo privilegiato verso la città - le metropoli americane ritratte nei notturni di “After Midnight” 2002-2006 -, Hütte ha contestualmente ampliato il proprio sguardo alla natura, producendo nell’arco della sua lunga carriera artistica numerose serie di lavori che hanno come soggetti foreste pluviali, deserti africani, specchi d’acqua di parchi nazionali, ghiacciai, cime e passi alpini, viaggiando da un continente all’altro, “curioso di accettare nuova sfide”. Un autentico viaggiatore del mondo.
Nasce così, accettando l’invito rivoltogli da Ahmet Kocabiyik, fondatore del centro Borusan Contemporary di Istanbul, la raccolta di opere dal titolo “Chronostasis”,
realizzate presso diversi siti archeologici della Turchia tra il 2017 e il 2019, di cui viene ora esposta in Italia per la prima volta una ricca selezione alla Fondazione Bisazza di Vicenza.
Principalmente concentrato nei siti di Efeso, Mileto, Pergamo, Sagalassos, Ierapoli e Afrodisia, il lavoro di Hütte (che per l’occasione aveva ottenuto il permesso di lavorare in orari off, dunque senza visitatori e anche in notturna) nel suo insieme si presenta come una ricerca personale e ragionata - sovente progredita per sottrazione di campi di ripresa - che pur avendo le stigmate della classica fotografia documentarista lascia ampi margini all’osservatore in virtù dell’immediata forza evocativa che le fotografie esprimono, nel grande formato come nei più raccolti dettagli. Il fotografo di Essen è riuscito a restituire nelle immagini delle rovine greche e romane un’atmosfera sintesi di passato, storia e spessore del tempo, quasi fosse possibile misurarlo e percepirlo, conferendo ai luoghi ritratti una luce magica che da un lato genera meraviglia e dall’altro stimola l’immaginazione, come certamente dovette avvertirle Gustave Flaubert al seguito di Maxime Du Camp impegnato nella documentazione di una campagna archeologica in Egitto e Medio Oriente a cavallo del 1850. Conferire alla fotografia il potere di suscitare in chi osserva emozioni e sentimenti capaci di espandere la visione è probabilmente la cifra stilistica che più di altre distingue Hütte dai suoi colleghi di accademia: un processo che affonda le sue ragioni innanzitutto nell’attesa e nella capacità di assorbire un luogo, pratica che Hütte ha del resto applicato ad altri suoi lavori per soggetti più vicini all’archeologia (si vedano ad esempio le architetture della natura di “Towards the Wood” o di “Fantasmi e Realtà”).
Consapevolezza e contemplazione si sovrappongono lasciando poi spazio ai sentimenti e alle suggestioni che questi suscitano. Il dittico della biblioteca di Celso ripresa in notturna a Efeso è un esempio compiuto di questo procedimento creativo e della sua capacità di restituzione allo spettatore: la ripresa frontale rispetta l’architettura e celebra al contempo l’edificio, la sua storia e il suo significato, le luci che lo animano dall’interno e la disposizione in dittico di grande
formato conferiscono all’insieme teatralità e maestosità, allo stupore iniziale segue subito un senso di deferenza e riguardo.
Le glass prints stampate su vetro posto davanti a uno specchio e successivamente su acciaio inossidabile lucidato si rifanno al dagherrotipo ottocentesco, e contribuiscono in modo sostanziale alla necessità di superare la prospettiva meramente documentarista rendendo l’opera, quasi paradossalmente, visionaria e al tempo medesimo contemporanea perché frutto di un processo di stampa tecnologico. Lo spettatore rimane come spaesato di fronte ad essa e all’ambiguità volutamente ricercata dal fotografo.
“La verità risiede nello sguardo dell’osservatore” ebbe a dire alcuni anni fa Axel Hütte.
Filippo Maggia
La verità risiede nello sguardo dell’osservatore